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VAN GOGH Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 18 maggio 1991
 
di Maurice Pialat, con Jacques Dutronc, Alexandra London, Elsa Zylberstein (Francia, 1991)
Che dipinga le vicissitudini coniugali di un bulletto di periferia (LOULOU), i rapporti fra un padre e la propria figlia (A NOS AMOURS), fra poliziotti e malviventi (POLICE) o l'iconografia del mitico Vincent di VAN GOGH, Marice Pialat fa sempre allo stesso modo: s'immerge in un ambiente.

Cerca d'immaginare l'aria che poteva tirare ad Auvers-sur-Oise, in quegli ultimi tre mesi di vita del celebre pittore; ma non certo come sulle illustrazioni della storia dell'arte. Filma la campagna, con la polvere che si solleva quando le carrette tornano dai campi, le poche case di un villaggio qualunque, non troppo distante dalle rive di un fiume, in quella luce che piaceva tanto agli Impressionisti; gli interni oscuri della taverna, con una delle tre stanze a disposizione affittata all'autore dei girasoli e degli iris; o quelli piccoli-borghesi della casa del dottor Gachet che riconosciamo dai celebri ritratti, le mura blu, il pianoforte, la credenza con i pizzi e le donne a preparare le verdure nella cucina. E in questi ambienti sembra capiti quasi per caso sui personaggi, gli avvenimenti altrettanto quotidiani: i contadini colti sull'uscio prima dell'imbrunire, gli avventori dell'osteria appoggiati al banco, il pranzo della domenica dal dottor Gachet con il fratello Theo arrivato in visita da Parigi, i giochi ingenui di società nell'afa del primo pomeriggio e l'euforia che precede l'ora della pennichella, i silenzi improvvisi che si sentono le mosche, e l'avventura di Vincent con la figlia di Gachet, che Pialat si è inventato come altre cose del film.

Come volete che venga, a questo modo, il suo VAN GOGH? Non certo eroico, né agiografico, celebrativo. Per questo bastano, dice il regista, mostre, cataloghi e ricorrenze. Il suo Van Gogh non è nemmeno il maledetto, rabbioso di vivere, esaltato e più o meno pazzo, in breve l'Artista che l'enciclopedia si è premurata di tramandarci: ma un uomo qualunque con i suoi sbalzi d'umore, un uomo come ne incontriamo ogni giorno. Jacques Dutronc è straordinario: non soltanto vive il suo Van Gogh con ogni piega del viso consumato, la malinconia del sorriso stentato, l'occhio febbrile, la rassegnata agitazione che precede la fine annunciata di quegli ultimi tre celebri mesi. Ma ci mette del suo, del Dutronc che vive negli anni Novanta: sono imprecazioni, o battute spesso spiritose che concorrono a creare quell'incredibile, impressionante atemporalità di un film che sembra nascere sotto i nostri occhi. Ma la straordinaria maestria di Pialat nella direzione d'attori la si osserva nella resa degli altri personaggi: la meravigliosa istintività della figlia Gachet, la figura stessa del Dottore con i suoi entusiasmi e le sue ingenuità, i personaggi solitamente minori, le comparse che qui risaltano con un fulgore indicibile.

Quella che Pialat possiede come nessun altro è la fiducia nel più umile dei personaggi e degli aneddoti: la forza, l'estrema verità dell'immediato e del quotidiano. I dialoghi sono di una naturalezza quasi improvvisata, di una immediatezza che sembra semplice e che sfocia nelle gioie e nei drammi più discreti. A questo modo, Pialat trova meravigliosamente, quasi inconsciamente, un equivalente espressivo a quello ricercato dagli Impressionisti dell'epoca: una nuova resa, infinitamente più vera rispetto a quella della tradizione, del mondo rappresentato.

Non solo: rifiutando la celebrazione, ricercando la semplicità del quotidiano, egli annulla la nozione del tempo. Non vi è più , nel suo VAN GOGH, l'impressione di un intervento culturale che abbia ricostruito il passato, ripensato la storia, relegato la faccenda fra le cose che possiamo in buona coscienza definire leggendarie: il suo film è come se fosse stato girato ieri. un documentario appena svoltato l'angolo. Il suo Van Gogh non è più quella maschera risaputa, ricreata per esorcizzare i fantasmi della nostra ignoranza; o per demonizzare altri Van Gogh che continuiamo ad ignorare. Ma un uomo qualunque, ogni artista che continua ad essere confrontato con la propria ansia di creatore.

Un uomo che continua a vivere accanto a noi. Un uomo moderno: in un film sublime.


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